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"C'è più gioia nel dare che nel ricevere"
una vita per il Signore
La santità ordinaria di un uomo fuori dal comune
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Don Viscardo Lauro

Siamo praticamente cresciuti insieme, dall’età di dieci anni ottobre 1946 al Seminario Romano Minore. Lui già interno, io (con grande gioia dei miei genitori che non facevano salti di gioia perché diventassi prete) io ancora da esterno, perché troppo magro e piccolo. Lui invece già cicciottello e florido. Entrai in terza media nel 49 e Sandro fu subito al mio fianco. Nel coro fra un intervallo e l’altro o un sottovoce sfidando i rimproveri del maestro, mi insegnò i rudimenti del canto. Le chiavi, i bemolle e i diesis, le minime e le crome.

In quarta ginnasio e liceo tutto cambiò. Per merito di qualche professore più brillante. Ma i nostri contatti più che di amicizia erano allora forzatamente di semplice cameratismo. Non erano possibili confidenze fra noi. Un Seminario specie al Laterano più un’Accademia militare di prestigio o un College all’inglese che un luogo di amicizie giovanili. Che invece esplosero non appena fummo ordinati e inviati per tre anni di completamento degli studi come assistenti, di nuovo al Seminario Minore. Un particolare toccante. Mia madre mi lasciò nel 1960. Sentii fortemente il colpo e dormii un giorno intero. Sandro venne in camera, alzati, mi disse, dai andiamo a iscriverci per la patente. Così, sempre insieme, prendemmo la patente nel febbraio 1961 a Corso Vittorio.

1962: finalmente inviati come vicari lui alla parrocchia di San Romano (credo ma non so se sbaglio), io a San Luca al Prenestino. Era nelle cose che ci vedessimo soltanto una due volte l’anno presso la chiesa di San Rocco da don Filippo Tucci, nostro fratello maggiore, che riusciva a radunare periodicamente la nostra classe di corso e di ordinazione, convocando anche i compagni sparsi in tutta Italia per un viaggio. In Italia ma spesso all’estero. Giorni spensierati divertenti indimenticabili. Istambul Cairo Abu Sibel Gerusalemme Palermo. Tra noi, compagni spassosi e allegri, il rigidismo del Laterano ormai solo un ricordo divertente e perfino nostalgico.

Poi naturalmente la pensione e ognuno a casa sua? Assolutamente no. Più volte in questi ultimi anni, pranzi insieme a casa sua e di Franco o a casa mia, noi stessi ai fornelli. Sono stato vicino a Sandro fino all’ultimo perché Sandro era l’incarnazione (non solo l’immagine) della bontà e della tolleranza sempre condita dal suo indistruttibile umorismo. Se avessimo bisogno di un briciolo di pazienza di sopportazione o di umiltà è a Sandro che dovremmo rivolgerci. Lui che ora è felice in uno dei petali della Candida Rosa di Dante, come nel canto 31 del Paradiso.



note sulle foto:

1) 1953 appena passati dal Minore al Laterano. Ottobre 1953. Sandro il primo in basso da sinistra

2) Prima liceo 1951 ad Anzio la nostra classe. Sandro vicino a me che guardo il sole, secondo da sinistra.
Proibitissimo il costume da bagno

3) Quarta ginnasio al Minore.
Sandro seminascosto col cappellino bianco al centro alla sinistra del professor Cascone da noi amatissimo

4) Credo a Sabaudia ma non sono sicuro. Siamo già al Laterano. Sandro in ginocchio accanto a me sulla destra.
Solo Antonino non si è tolto la veste talare. Noi abbiamo osato. Non ho altro. Anche dei viaggi non ho niente.
Allora fotografare era difficile


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